La fisica che ci piace: intervista a Vincenzo Schettini

A pochi giorni dal lancio del suo primo libro edito da Mondadori, il prof star di TikTok e Youtube ci racconta come è iniziato tutto (quasi per caso)

Insoore
12 min readSep 14, 2022

di Rosanna Grano

Ha oltre mezzo milione di follower su TikTok, i suoi santini sono appesi nelle aule scolastiche di tutta Italia, e ora è in uscita il suo primo libro con Mondadori.

Vincenzo Schettini, dai più conosciuto come il prof col ciuffo bianco super cool de La fisica che ci piace, ha rivoluzionato — video dopo video — il modo di imparare la fisica.

Tra i suoi follower — che non scendono sotto i 300mila su nessun social, da Facebook a Youtube, passando per Instagram — ci sono sì studenti, ma anche persone curiose di scoprire come la fisica riesca a rispondere a domande tipo “Perché il mare è blu”, “Come mai dopo il tuffo torniamo a galla”, o “È vero che il sale fa bollire prima l’acqua?”.

Armato di pennarelli colorati e della sua lavagnatta, è riuscito in un’impresa che potrebbe sembrare impossibile, ma che a quanto pare non lo è: rendere una materia come la fisica comprensibile a tutti. E chi non ci crede, può togliersi ogni dubbio leggendo il suo primo libro in uscita in questi proprio giorni e intitolato — neanche a dirlo — “La fisica che ci piace”, che si trova in pre ordine qui.

La sua storia di incredibile successo non poteva mancare sul nostro blog, dove raccontiamo donne e uomini che hanno avuto il coraggio, forse pure l’ardire, di seguire un sogno e di realizzarlo. Un po’ come abbiamo fatto e continuiamo a fare ogni giorno anche noi di Insoore.

Per fare l’intervista, ci siamo dati appuntamento in video call. Click ed ecco apparire il sorriso coinvolgente di Vincenzo Schettini in diretta dalla solita postazione, quella che ha come sfondo un Double Decker rosso fuoco che si fa largo tra le strade di una Londra bicolore e affollatissima.

Quando non sei in classe o in giro, fai spesso le dirette con questo sfondo dietro. Dove si trova?

Qui sono a casa mia. Quando ho cominciato a fare i primi video, vivevamo in un appartamento non troppo spazioso, e li facevo dalla cucina. Attaccata alla parete c’era questa stampa. Durante il lockdown, abbiamo realizzato che ci serviva più spazio, e ci siamo trasferiti in una casa più grande, dove ho potuto ricavare una stanza completamente dedicata a me e insonorizzata. A quel punto però lo sfondo era diventato parte dei video, tutti riconoscevano la stampa. Così l’ho tenuta.

Senza dubbio hai un modo originale di insegnare. Come vivi tutto questo successo tra i ragazzi?

Mi gira la testa a pensarci. Sai quanti studenti mi mandano le foto del mio santino in classe attaccato al muro? Mi dicono: “Prof, lei ha salvato praticamente mezza classe dal debito”. Questa cosa di essere in tutte le scuole italiane, tu non immagini, mi ubriaca di felicità.

Ti definisci appassionato di vita. Cosa vuol dire?

Sono attratto verso tutti i segnali che la vita mi dà. In inglese si direbbe “take for granted”, non dare nulla per scontato.

A chi è convinto di non avere particolari passioni cosa diresti?

Non posso credere che una persona non abbia una passione per qualcosa. Diventare culturista o fotomodello, dedicare la vita al volontariato, qualsiasi cosa. Si fa spesso l’errore di non seguire se stessi. Quando ero ragazzo, scrivevo e componevo musica. Sono autore di I Won’t Let You Go, brano da discoteca prodotto da Anthony Romeno e cantato dal coro gospel che dirigo da più di vent’anni. All’epoca ebbe un discreto successo. Non nascondo che avrei preferito seguire la strada artistica rispetto a quella scientifica. Però i miei genitori, probabilmente in maniera corretta, mi dissero “Attento, Vincenzo, perché è un mondo complicato quello della musica”. Bisogna porsi le domande giuste, senza mai soffocare se stessi. Musica e fisica sono due anime che fanno parte di me, seguirle mi ha portato comunque dove volevo arrivare. La nostra natura viene fuori prima o poi.

Come è nata l’idea de La fisica che ci piace?

Il primo esperimento in assoluto è stato una decina di anni fa. Avevo notato che gli studenti mi seguivano con grande attenzione, rapiti quasi come se fossero di fronte a un film. Avevo coscienza che i social, specie Facebook in quel periodo, andavano molto forte. Pensai: “Perché non mettere online una delle mie lezioni?”. Un giorno in classe presi il telefonino, lo diedi a uno studente e gli dissi: “Riprendi mentre spiego”. L’argomento era l’attrito viscoso. Il ragazzo, incredulo, si mise a ridere e mi chiese: “Prof, ma veramente?”. I ragazzi erano meravigliati, ma allo stesso tempo incuriositi da quella possibilità. La svolta è arrivata a settembre 2017, quando ho deciso di sfruttare le live di Youtube. Ancora non facevo le copertine, non facevo nulla. Avevo, boh, forse venti studenti connessi. Però ricordo la sensazione bellissima di avere persone dall’altra parte che interagivano. La lezione era sull’energia, la si trova ancora.

E infatti eccola qui: https://www.youtube.com/watch?v=48v5X8yYuEQ

Dalle live improvvisate, il progetto si è evoluto ed è parecchio cresciuto. Come?

Sperimentando. Gli studenti mi suggerivano i social che in quel momento andavano forte. Uno di loro mi ha detto: “Prof, si potrebbe chiamare ‘La fisica che ci piace’, perché descrive quello che è”. Ho lavorato molto per trovare le formule giuste, un po’ studiando influencer da tutto il mondo, un po’ vedendo cosa interessava al mio pubblico. Per quattro anni sono andato live ogni martedì. Poi sono arrivati Instagram, TikTok, il podcast, e ho dovuto modificare l’organizzazione del tempo.

Perché si decide di approdare su altri social?

Arriva un momento in cui cresci al punto che ti devi chiedere che direzione vuoi prendere. Io ho deciso di fare tre cose: trovare un mio stile, individuare contenuti originali ed essere costante. Oggi non sono sotto i trecentomila lovvini da nessuna parte, ed è strano perché la maggior parte degli influencer è fortissima su uno dei social e un po’ meno sugli altri.

Qual è la forza del tuo progetto?

Mah, la caparbietà e poi forse anche la spontaneità. Molto lentamente mi sono messo a nudo. Non di botto, perché avevo paura. L’ho fatto con un certo garbo nei confronti di me stesso, ho grande rispetto di me. L’autenticità è stata la mia forza. Ho tirato fuori piano piano Vincenzo nei famosi video del venerdì, nei quali racconto le mie ansie, le mie debolezze, chi era Vincenzo adolescente. Sono fortunato ad avere due genitori meravigliosi, ma ho vissuto un’adolescenza molto complicata. Averla raccontata mi ha come liberato.

In cosa è stata complicata?

Ero magro da morire, non mi vedevo uguale agli altri miei coetanei che avevano già qualche muscolo più formato in evidenza. Nelle foto mi sembrava di non riconoscermi. Anche dal punto di vista degli amori, il percorso è stato travagliato, perché, come capita a tanti adolescenti, il rapporto con il mio orientamento sessuale è stato complicato. L’adolescenza è una strada difficile da percorrere, spesso si è lasciati soli. I ragazzi di oggi sono più fortunati rispetto a quelli di ieri: di alcuni argomenti prima non si parlava. Oggi c’è molta più apertura, sia tra di loro, sia nelle famiglie. La scuola invece è rimasta chiusa. Si vergogna di parlare di alcune tematiche ed è assurdo per un’istituzione che si autoproclama moderna.

Come mai accade?

Perché è troppo burocratizzata. Il nostro è un mestiere bellissimo, ma altrettanto complicato. Sì, abbiamo il compito di insegnare la fisica, l’italiano, la storia, ma anche quello di insegnare la vita. Sono dell’avviso che la forza della scuola siano gli insegnanti. Se la scuola cambierà, lo farà dal basso, non dall’alto.

Riuscirà la scuola a vincere la sfida epocale di sfruttare al meglio le opportunità offerte dalle nuove tecnologie?

Tanti colleghi mi scrivono per dirmi che col mio metodo ho riscattato la nostra categoria e che li ispiro a migliorarsi. In futuro l’apprendimento sarà multisfaccettato, le piattaforme saranno dappertutto intorno a noi. Gli studenti mettono già insieme i pezzi tra l’online e l’offline. Ora tocca agli insegnanti fare un passo avanti.

Hai dovuto rinunciare a qualcosa per scommettere sul tuo progetto?

Se sono diventato quello che sono è anche perché ho fatto alcune scelte. Passare al part time è stata una delle più difficili. Non si è trattato di coraggio, ma di voglia di credere che posso cambiare il modo di fare una determinata cosa. Ci credo, punto. Non metto i soldi al primo posto.

Qual è la soddisfazione più grande che hai avuto finora?

Forse l’uscita del libro. Avevo fatto un tentativo due anni fa con un’altra casa editrice, ma non sono riuscito a scrivere. Mi sono detto: “Non è il momento”. Poi a marzo scorso, nell’arco di appena dieci giorni, mi sono arrivate proposte praticamente da tutte le più importanti case editrici italiane. Mi sono sentito lusingato, ovviamente. Alla fine ho scelto Mondadori. Scrivere era una vera sfida per me, e l’ho vinta. È venuto fuori un libro bellissimo, che profuma di Puglia, dei miei amici, dei miei amori, della mia famiglia. Attraverso la fisica, ho raccontato le mie esperienze e la mia vita. Nel libro, ad esempio, ricordo di quella volta che all’aeroporto di Firenze aspettavo con ansia l’arrivo di Madonna. Osservavo la gente intorno a me, per loro il tempo scorreva veloce, mentre per me non passava mai. Ho tratto spunto da quegli attimi di frenesia per spiegare la teoria della relatività di Einstein.

Come scegli gli argomenti dei tuoi video?

Spesso in risposta alle richieste che mi arrivano sui social. Tra tutte le piattaforme, ricevo intorno a duemila messaggi al giorno, è veramente complicatissimo starci dietro. Almeno il 10% mi manda reel di qualcosa che ha visto. Uno mi ha scritto: “Ho notato che l’acqua calda si congela prima di quella fredda. Perché?”. Ognuno di loro è fonte di ispirazione per me.

Che rapporto hai con il fallimento? Te lo chiedo perché nella cultura un po’ startuppara che contraddistingue realtà come la nostra di Insoore ci si trova sempre di fronte a nuove sfide e la possibilità di errore deve in qualche modo essere contemplata. Un po’ come avere un brutto voto.

Ho fatto due video, uno dedicato al senso dei voti e uno al fallimento. Da liceale, arte era la materia a cui dedicavo più tempo. L’insegnante con due segni così, sbrigativi, mi metteva cinque, quattro e mezzo, a volte sei. Mi sentivo mortificato. A un certo punto ho realizzato che quello che stava descrivendo attraverso il voto non era Vincenzo, ma solo una performance di Vincenzo. Bisogna prendere coscienza che il voto è momentaneo, è innocuo, non ti fa nulla. È la lettura di una persona che sta guardando te, ma il voto non sei tu. Attenzione, però: il voto non sei tu neanche quando prendi dieci.

E come si dovrebbe reagire a un, seppur momentaneo, fallimento?

Hai detto questa cosa bellissima, “Siamo degli startuppari”. Io sono con voi. Non si deve mai credere di essere arrivati. La sensazione di sentirci falliti ci accompagna per tutta la vita, chiunque siamo e qualsiasi sia l’obiettivo o il successo che abbiamo raggiunto. Come esseri umani, non siamo capaci di dare senso né alla felicità, né al fallimento. Dobbiamo convivere con entrambi, imparare a gestirli con maggiore serenità, perché fanno parte del gioco della vita. La stessa cosa dovrebbe accadere con le aspettative. Il fallimento è come un segnale stradale, ti dice: “Continua per di qua”.

Oltre ai canali social de La fisica che ci piace, agli spin off L’inglese che ci piace e La matematica che ci piace, al podcast e al libro, da un anno circa hai dato vita, con un gruppo di altri insegnanti influencer come te, alla piattaforma Il prof che ci piace.

È una bellissima avventura, tutta in divenire, che si trasformerà nel tempo. Devo ringraziare le altre tre professoresse, Jessica Rosselli, Barbara de Cicco e Fausta D’Acunzo, per averci creduto fin dal primo momento. A breve aggiungeremo all’offerta materie umanistiche.

Come hai scelto questi prof influencer?

Per il loro modo di comunicare e per l’umanità che traspare dal loro sorriso. Il prof che ci piace è forse una delle cose più grosse che ho fatto, di sicuro la più ambiziosa perché dipende molto anche dall’energia degli altri. A Insoore, come startup, saprete di certo quanto sia importante e decisivo il team per la riuscita del progetto. Ci si deve confortare a vicenda, credere l’uno nell’altro, essere molto aperti nei confronti di chi hai accanto. Ascoltarsi è fondamentale.

Collaborare tra diverse realtà è la strada del futuro, come dimostra anche la corsa all’Open Innovation. Perché unirsi può essere tanto decisivo, secondo te?

Il mio progetto è nato contemporaneamente alla mia passione per le lingue. In quel periodo guardavo canali come Speak English with Vanessa, English 101, real English with real teachers, o Luke’s English podcast. Ho imparato tanto dagli youtubers inglesi. Fanno spesso lezioni insieme, una sorta di crossover. Quando li vidi, pensai: “Guarda un po’, non sono invidiosi né gelosi l’uno dell’altro, ma si mettono insieme per supportarsi e portarsi iscritti a vicenda”. Credo che vinci proprio quando capisci che l’altro non è un tuo competitor.

Nella tua esperienza di insegnante, c’è differenza di approccio alle materie scientifiche tra ragazze e ragazzi?

In questo momento, la ragazza giovane che deve scegliere una scuola superiore o l’università ha le stesse possibilità di scelta di un ragazzo. Forse nel mondo del lavoro qualcosa poi cambia, perché ci sono tutti questi strani meccanismi che impediscono che si realizzi la parità. Sai perché? Non è difficile capirlo, sono cose pratiche: la paura che la donna possa avere una gravidanza può essere un ostacolo in fase di hiring.

Hai haters?

Pochi. Capita che su Youtube qualcuno mi scriva: “Hai fatto tre quarti d’ora di live, di cui quaranta minuti di cazzate e di risate”, o anche “Prof, sei un pagliaccio”. Qualcuno mi ha detto che sono cringe. Proprio ieri, per il lancio del libro mi hanno scritto: “Ecco, lì dovevi arrivare anche tu. Non fate le cose per passione, ma per soldi”. E io ho risposto: “Amore mio, ma tu pensi che dopo anni di sacrifici e studio, l’arrivo di un libro, eccetera eccetera, anche io non possa pensare o sperare di fare un po’ di soldi? Cosa c’è di male? Ma perché mi scrivi questo? Fammi capire meglio”. Però, ripeto, è un commento su mille.

Il tuo modo di raccontarti, così autentico e vero, arriva ai ragazzi forse anche come un insegnamento di vita: non bisogna essere perfetti, è sufficiente essere se stessi.

Sì, è vero. Questa autenticità, quando viene fuori nei personaggi che diventano celebri in rete, è bella perché aiuta gli altri, soprattutto i ragazzi. I tiktoker più famosi sono persone che accendono la telecamera e parlano, mi fanno morire dal ridere. Chi è adolescente oggi cresce in un mondo molto complicato. Stare dietro ai like può diventare una sofferenza. Ho lanciato qualche giorno fa una foto del libro. Sarei ipocrita a dire che non speravo di avere un certo risultato. Però io ho 45 anni. Se mi metto nei panni di un quindicenne che va dietro ai like, capisco che può sentirsi sottoposto a un’ansia che può uccidere. Il chissenefrega fa bene, fa tanto bene.

Un altro malinteso è che lavorare sui social sia semplice. “Che ci vuole? Mi metto di fronte alla telecamera e sparo a zero”. Puoi testimoniare che invece c’è tanto sacrificio e preparazione dietro?

Madonna santa! Oltre a dover studiare per i contenuti, imparare come si usano le diverse piattaforme social, trovare un tuo modo di comunicare, è complicato anche nella pratica farlo. Per esempio, quando devi girare, tante volte sbagli, registri ma il microfono non funziona, devi rifare tutto. Quello della rete è un mondo molto complicato. Ti devi sacrificare, devi studiare.

Hai detto in passato che la cultura può dare la felicità. Cosa intendevi?

Cultura è apprendere, comprendere, capire. Quando a scuola ti riusciva l’esercizio, vedevi il risultato ed era quello giusto, che dicevi? “Sì! Ce l’ho fatta”, e magari lanciavi le braccia in aria. Quando capisci come funziona un gasdotto oppure perché l’aereo vola, ti senti appagato, come quando finivi l’esercizio di matematica e ti veniva lo stesso risultato del libro. Per cui sì, la cultura è felicità.

Come startup innovativa, siamo sempre attenti a intercettare nuovi talenti. Cosa sognano i ragazzi di oggi per il loro futuro?

Sognano a 360 gradi, ad angolo solido, non con i paraocchi come facevamo noi. Hanno la capacità di prendere più strade, di provare più situazioni: è un grande vantaggio per loro. C’è chi dice: “I giovani di oggi sono disorientati e confusi”. Non è vero.

C’è un consiglio che daresti a chi vuole lanciare un proprio progetto, come hai fatto tu?

Suggerirei di provare. Il vero startupper è una persona che sperimenta tanti approcci e accetta che, di cento magari, solo uno darà i primi segnali positivi. Bisogna essere una sorta di grandi fisici sperimentali, che costruiscono l’esperimento e aspettano i risultati.

Cosa c’è nel tuo futuro?

La tv. Io la vedo. Noi fisici non dovremmo avere il sesto senso, ma io ce l’ho.

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